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La globalizzazione rovesciata e la strategia come creazione del futuro

Vijay Govindarajan Reverse innovation


«Meglio non puntare su un cavallo morto»

Investire in innovazione significa produrre di più o produrre meglio utilizzando meno risorse? L’innovazione continuerà ad accelerare anche se gli investimenti caleranno a causa della crisi? Dagli anni 70, e fino a ieri, l’innovazione ha viaggiato quasi sempre in una direzione: dall’Occidente industrializzato verso i Paesi meno ricchi. C’è chi si ostina a chiamare questa parte del Pianeta “Terzo mondo”, tradendo una certa età anagrafica, e chi preferisce utilizzare l’espressione “Paesi emergenti” o “in via di sviluppo”, tradendo – a sua volta – una certa visione occidentalista. Le multinazionali, che dalla fine della guerra fredda per tagliare i costi e conquistare nuovi mercati avevano iniziato a spostare i centri di ricerca da ovest a est, hanno innescato – inconsapevolmente – il meccanismo di un’ondata tecnologica in senso inverso, da est verso ovest e da sud verso nord. Per Vijay Govindarajan, tra i maggiori esperti mondiali di strategia e innovazione, questo fenomeno si chiama «reverse innovation», la globalizzazione rovesciata (www.vijaygovindarajan.com). Professore di International Business e Founding director del Center for Global Leadership alla Tuck School of Business del Dartmouth College, Vijay Govindarajan – noto a tutti semplicemente come “VG” – è uno dei pensatori di maggior rilievo della nuova generazione. Da un lato, il mondo industrializzato comincia a fare i conti con la fine del posto garantito, dall’altro – grazie alla convergenza tecnologica – le zone più remote del Pianeta fanno il loro ingresso nel mercato con conseguenze ancora imprevedibili. La “capanna ganese” diventa il nuovo laboratorio di ricerca e sviluppo per nuove applicazioni per i giganti della telefonia. La francese Renault ha introdotto nel mercato nazionale la Logan, prima auto low cost pensata per i Paesi meno ricchi, forse per rispondere alla concorrenza del colosso indiano dell’auto Tata. Microsoft, Alcatel-Lucent, HP, Cisco mettono a frutto case history maturate in Sudafrica, Cina, Qatar, India, Brasile. «Forget, borrow, learn» ovvero «Dimenticare, prendere in prestito, imparare» questo è l’imperativo categorico che “VG” rivolge alle imprese per resistere alla globalizzazione rovesciata.

Data Manager: In che senso la strategia deve diventare un esercizio di creazione del futuro?

Vijay Govindarajan: Le società hanno bisogno di innovare continuamente perché il mondo cambia velocemente e questo cambiamento non è più lineare. Bisogna fare piazza pulita dei vecchi modelli e costruire un business altamente innovativo all’interno di uno già esistente, come ha fatto Steve Jobs. Bisogna stabilire nuovi criteri di performance e imparare dal Web, l’infrastruttura emozionale per la creazione e il rafforzamento dei legami. Quelli che non si fanno domande, oggi, su come sarà il loro business nel 2020 sono destinati a scomparire.

Ma come si guarda al futuro quando bisogna impegnare tutte le risorse per sopravvivere già oggi?

Il taglio dei costi non deve essere un alibi per non investire. Si può investire in piccoli progetti contemporaneamente, spendendo poco e fallendo più spesso. Fallire significa sperimentare senza successo. Non si può andare nel futuro con le ricette di oggi. La crisi finanziaria ci mette di fronte a un cambiamento degli equilibri globali, con una crescita lenta nei Paesi sviluppati e una crescita sostenuta in quelli emergenti. Dieci anni fa, le multinazionali pensavano le loro strategie per il mercato Americano, l’Europa, il Giappone e il resto del mondo. Oggi, il resto del modo siamo noi. Per questo l’America e l’Europa devono riflettere sull’importanza delle politiche di accoglienza e di immigrazione. Dalle persone che decidiamo di accogliere o di non accogliere può dipendere la leadership anche dell’innovazione.

Per creare nuove idee bisogna dimenticare il passato?

Nell’Induismo, Brahma rappresenta la forza creatrice, Visnu ha il carattere di una divinità ordinatrice dell’universo e Siva identifica la forza distruttrice. Dall’equilibrio di queste forze dipende il destino dell’uomo. Il destino delle imprese dipende, invece, dalla loro capacità di creare il futuro, demolendo gli ostacoli del passato e ricreando un nuovo equilibrio. Bisogna gestire il presente, selettivamente dimenticare il passato e su questa base creare il futuro, concentrandosi sulle nuove opportunità.

Che cosa si intende per innovazione rovesciata?

Si tratta di ogni innovazione che nasce per essere adottata prima nei cosiddetti Paesi in via di sviluppo e che poi viene distribuita a livello globale. Il principale driver di questo fenomeno è proprio la disuguaglianza. I consumatori che abitano questa parte di mondo hanno richieste particolari con una curva prezzo-qualità completamente differente dalla nostra. Questo fatto produce una rivoluzione inevitabile in termini di concorrenza anche per il consumatore e l’industria occidentale. Le imprese devono conoscere questo fenomeno e rivolgerlo a proprio vantaggio se vogliono sopravvivere. Le grandi multinazionali come Nokia, IBM e Microsoft stanno cercando di trovare il modo di governare questo cambiamento.

Il concetto di “reverse innovation” non è una formula per aumentare i fatturati delle aziende?

Direi che è soprattutto l’occasione per ridisegnare uno sviluppo più equo e sostenibile non solo per i Paesi poveri, ma per tutti. Molte opportunità di business per l’occidente industrializzato nasceranno prima come soluzioni low cost per i Paesi poveri. L’innovazione rovesciata è semplicemente l’evoluzione di un modello di business in atto da tempo.

Ci può fare un esempio?

Nel 2001, General Electric tentò il lancio di una macchina a ultrasuoni in Cina. I vertici della società si accorsero però che per i cinesi il prezzo del prodotto era troppo alto, così misero al lavoro un team di ricercatori locali per immaginare uno strumento più economico e soprattutto utilizzabile nei villaggi sperduti dell’entroterra. Quell’idea si dimostrò vincente in Cina, permise a GE Healthcare di lanciare in giro per il mondo il primo ecografo tascabile sotto i quindicimila dollari. Molte imprese avranno difficoltà a sincronizzarsi con questo nuovo approccio e di conseguenza continueranno a concepire prodotti e servizi per quella parte di consumatori con cui hanno familiarità. L’innovazione rovesciata richiede un approccio decentralizzato sui mercati locali e mission coraggiose. C’è stato un periodo della mia vita accademica in cui mi divertivo a raccogliere le “mission statement” delle aziende. Ho smesso quasi subito, perché si somigliavano tutte. Eppure c’è differenza tra intento strategico e mission.

Qual è la sua definizione di mission?

La mission è quella cosa che dovrebbe buttare giù dal letto la mattina gli imprenditori o i dirigenti di un’azienda. Se questo non accade evidentemente la mission aziendale crea lo stesso coinvolgimento di un “cavallo morto”. Avere una mission significa tracciare una rotta, creare motivazione per affrontare una sfida anche irrealistica. Alla vigilia del programma Apollo, John F. Kennedy aveva dichiarato: «We will put a man on the moon and bring him back before the end of this decade». La comunità scientifica dava l’80% di fallimento all’impresa. Eppure, quella mission che catalizzava l’orgoglio di una nazione intera si trasformò in un’azione concreta. Il problema non è quello di avere mission troppo ambiziose o “irrealistiche”. Il problema di molte aziende è che la loro mission è come un “cavallo morto”.

E che cosa consiglierebbe di fare con un “cavallo morto”?

Non si può tagliare il traguardo con un cavallo morto. Ma ho stilato una classifica di cose che si possono fare con un cavallo morto. Per esempio, si può provare a frustare il cavallo più forte e vedere che cosa succede. Si può cambiare fantino. Si possono legare insieme più cavalli morti per vedere se la velocità aumenta. Si può dichiarare che un cavallo morto è più conveniente da mantenere o negare che il cavallo sia morto. Oppure, si può promuovere il cavallo morto a una posizione di senior manager.

Qual è la mission da condividere per il futuro?

Quella che condivido con Muhammad Yunus, Nobel per la Pace, e fondatore di Grameen Bank per il Microcredito: “Mettere i poveri in un museo”.

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